Aldo

Famà

 

il dinamismo della linea

 

 

           

CAMPI DELLA MEMORIA E ARCHIVI DEL COLORE.
Il viaggio astratto nella pittura di Aldo Famà

La pittura di Aldo Famà ha un carattere schietto e delicato. Nel tempo l’artista ha conquistato un linguaggio pittorico essenziale, che si è manifestato nella scelta di immagini astratte e che comunica sempre con parole asciutte, prive di enfasi o di ripiegamenti intimistici.

Per Famà infatti il linguaggio pittorico è tanto più convincente quanto più è alleggerito dal peso di una ricerca formale fine a sé stessa.

L’impostazione astratta delle sue opere è frutto di un lungo lavoro condotto sulla tela. A questo tipo di interpretazione l’artista è giunto attraverso un percorso iniziato alla fine degli anni Sessanta con alcune opere di carattere informale, che si sono via via arricchite di interventi matrici. Famà ha abbandonato poi la sperimentazione di questo tipo di inserti, che lo conducevano verso una cifra stilistica destinata a ripetersi, e ha preferito concentrarsi invece sul problema della composizione dell’immagine. L’interesse per una costruzione più solida del dipinto si è sostituito perciò all’affinamento delle testure; le tracce di materia sono state filtrate e hanno lasciato la loro impronta su alcune zone dei dipinti, che l’artista sentiva di dover contrapporre alle superfici di colore in una sorta di equilibrio dinamico tra liscio e ruvido, spesso e sottile, mosso e fermo.

Sono nate così sulle tele delle originali strutture di relazione, attivate dal movimento virtuale delle zone cromatiche. Le campiture di colore pieno e intenso si alternano a quelle chiare, incise da una rete di segni e racchiuse entro un profilo asimmetrico con cui si dispongono aritmicamente sulla superficie del dipinto. Le diverse zone sembrano volersi compenetrare o distaccarsi per assumere nuove configurazioni spaziali, oscillando intorno a dei perni ideali che diventano gli assi portanti del colloquio pittorico. In questo sistema di relazioni tra stesure di diversa qualità pittorica l’artista ha trovato il modo più congeniale per rappresentare la tensione permanente e attiva che si instaura tra le forme dell’esperienza e il suo ricordo. Di certo attraverso il ricordo l’esperienza stessa esce continuamente rinnovata: allo stesso modo i ricordi, sotto forma di frammenti astratti, si rigenerano costantemente nella pittura dando vita a inedite associazioni del pensiero, e dunque dei colori e della loro disposizione su quel vero e proprio campo d’azione della memoria messo in essere nel microcosmo dell’opera.

L’aspirazione ad una costruzione compatta e armoniosa dell’immagine si esprime anche nei numerosi disegni eseguiti a fianco dei dipinti. Con un gesto più ampio e controllato l’artista traccia sul foglio una sorta di traiettoria compiuta dal pensiero prima di depositarsi nell’immagine definita dalla pittura. I tratti a penna si materializzano talvolta su alcune tele in segni sottili, che percorrono con un movimento incurvato la superficie del dipinto e che sembrano ancorare i campi di colore agli sfondi. I frammenti astratti galleggiano così più sicuri sul grigio, sul blu o sull’ocra, o si stagliano leggeri come aquiloni trattenuti appena da un filo di pittura.

Questa sequenza di opere della metà degli anni Ottanta, in cui prevale la ricerca di movimento e di leggerezza delle superfici, è incastonata tra una serie anteriore e una successiva di dipinti, che esprimono invece la tensione verso una maggiore saldezza. I campi di colore sono disposti come masse rocciose che delimitano i varchi nel passaggio della memoria e che distendono densi cretti calcinati, attraversati da strisce asimmetriche, accese di sensibilità e di inquietudine. Questo tipo di ricerca compositiva trova una rispondenza in alcune forti xilografie della fine degli anni Settanta, che contraggono l’espansione del colore entro zone circoscritte, contrapposte le une alle altre dall’uso di colori primari.

Nelle opere più recenti il filo dei ricordi si è fatto ancor più teso e robusto. Le divagazioni della fantasia e della sensibilità, catturate nei precedenti lavori dallo scarto tra le zone lisce e quelle più lavorate, si sono andate coagulando in spicchi di colore compatto e brillante, vivacemente articolati fino a ramificarsi come il tronco di un albero, memoria depurata di un rapporto continuo con la natura. Dapprima infatti, il paesaggio aveva offerto all’artista la materia prima per costruire il suo lavoro; non era stato mai un contenuto – un’immagine esplicita o un racconto – ma aveva costituito una sorta di griglia visiva di base, sulla quale l’artista andava a disporre progressivamente i suoi segni. Nell’astrazione di Famà, nata in un paese di pietre e di mare, solo la linea ideale dell’orizzonte concede una relativa stabilità allo sguardo. Perciò talvolta le masse dense di colore sono state ancorate a un orizzonte immaginario, per trattenere i frammenti entro un telaio chiaro ed efficace. I diversi campi di colore sono venuti progressivamente ad alludere ai piani spaziali di un paesaggio interiore, rivelando anche l’affiorare dei ricordi e lo svolgersi dei pensieri, materializzati sul dipinto dalle forme astratte e dalla loro armonica concatenazione spaziale.

Tra gli artisti triestini, l’interesse di Famà si è rivolto sempre verso quelli che si sono maggiormente imposti per una forte struttura compositiva: prima di tutti verso Luigi Spacal, che ha sotteso sempre ai suoi dipinti e alle grafiche un’impalcatura ben visibile; ma anche verso l’ultimo Predonzani, che nelle sue straordinarie tempere dei primi anni Settanta chiudeva il proprio lungo ciclo figurativo e inaugurava un nuovo rapporto con un segno terso e rigorosamente aniconico, senza compromessi. La riflessione operata da Famà su questo tipo di esperienze, che hanno costituito per lui un suggerimento di tipo culturale ancor prima che artistico, si è tradotta in un esercizio calibrato con il quale l’artista è venuto via via precisando il suo atteggiamento di fronte alla pittura. Ciò che conta nel suo lavoro non è dunque la ricerca di una libertà d’espressione, che rischierebbe di tradursi in una pura affermazione individuale, quanto la consapevolezza che ogni volontà soggettiva e ogni necessità interiore espressa dall’artista vanno a misurarsi sempre nell’opera con le esigenze di un linguaggio non arbitrario. La lingua della pittura, i colori e i gesti, non sono quindi per Famà un ostacolo da infrangere, bensì uno strumento sensibile da manipolare. In questo modo l’artista individua il sistema di segni più confacente al suo temperamento, confrontandosi limpidamente con le sue inclinazioni e con le suggestioni provenienti da un ambiente culturale da lui stesso eletto a proprio riferimento e mai subito.

Famà non ha mai voluto isolarsi nella difesa di un terreno assolutamente originale e privilegiato di espressione. L’adesione stessa ad una tendenza astratta condivisa da diversi artisti lo ha posto a contatto con altri autori nella realizzazione di mostre comuni e nella convinzione che nessun’opera ha un valore assoluto, ma che va considerata come la stazione felice di un viaggio, raggiunta e accompagnata da nuove esperienze. Solo a queste condizioni, liberamente accettate, gli è stato possibile approfondire la propria vocazione e disegnare una storia personale coerente. L’impegno per una pittura astratta è condotto dall’artista senza ortodossie ma con convincimento, perché la scelta iniziale è stata maturata a lungo, e più volte messa alla prova. La pittura per Famà non è perciò un semplice veicolo di scelte formali, bensì è una tela di relazioni aperta alla comunicazione con gli altri, per proporre un comune tessuto artistico e culturale in cui riconoscersi e in cui dialogare.

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