Aldo

Famà

 

il dinamismo della linea

 

 

           

È con vivo piacere e con grande orgoglio che mi onoro di presentare questa mostra di Aldo Famà. Vivo piacere per una bella, raffinata ed intelligente pittura, orgoglio per la circostanza particolarmente significativa della prima (sembra quasi incredibile) personale di un artista che da più di vent’anni si fa onore sulla scena espositiva regionale, con qualificate presenze alle rassegne collettive e con il riscontro di importanti riconoscimenti. Aldo Famà è stato, ed è, uno dei più generosi animatori del più qualificato associazionismo artistico della nostra città e forse per tale impegno e per un vigile senso autocritico, foriero di una inusitata modestia e riservatezza, non si è mai manifestato appieno al pubblico, per cui questa mostra costituisce un avvenimento di notevole rilievo, che onora la galleria ospitante.
L’arte severa di Aldo Famà si estrinseca in una pittura astratta non gratuita, bensì allusiva ad una realtà in cui i titoli stessi («Geometria dell’esistenza», « Radiografia della realtà») fanno riferimento al rapporto dialettico tra la dimensione razionale e quella organica. Infatti, nelle opere di Aldo Famà si confrontano retta e curva, superfici politamente lisce e scabramente (e pur preziosamente) pittoriche dal punto di vista chiaroscurale, ma senza lacerazioni e dissidi, bensì in una visione che la tenerezza dei toni cromatici risolve in una pacata concezione liricamente unitaria. Ogni dipinto, che nasce dalla considerazione delle contraddizioni che siamo costretti a vivere, è frutto di una elaborazione quasi certosina, che parte sempre da un bozzetto e si definisce poi con una icasticità così perentoria, e pur così riposata, da non lasciare alcuna possibilità di dubbio, non tanto sul merito delle tematiche (sempre irte di problemi esistenziali), quanto sulla loro restituzione a livello d’immagine. A tali risultati Aldo Famà è pervenuto seguendo un iter stilistico personale, elaborato ed appartato, i cui inizi rimontano ben addentro negli anni cinquanta e le cui tappe fondamentali merita ripercorrere brevemente assieme per vederne quell’articolata consequenzialità che è garanzia di serio impegno professionale e di vigile senso morale.

Partito da un espressionismo allusivo dai colori vivaci e dal segno vibrante, e pur costruttivo, tra Van Gogh e Klee, l’artista si è ben presto orientato a un postcubismo alla Birilli, in cui l’effetto luministico era arginato, ma non mortificato, da una costruzione serratamene ritmica. All’inizio degli anni sessanta, come per tutti gli artisti più sensibili e aggiornati, venne il momento del confronto con la dimensione onirica, che si risolse in una tangenza al surrealismo, talvolta incuboso e talaltra (e più spesso) fiabescamente lirico nell’ammirazione per i modi di Spacal.

Il successivo e, rinnovato, postcubismo fu più carico di implicazioni drammatiche e fantastiche nel colore soffuso di luminescenze misteriose e nel segno costruttivo che non si peritò di risolversi in raffinato ed ordinato grafismo.

Dal 1968 luce e colore si rimpolparono di matericità organica, percorsa da un segno talora fermentante da far pensare a capillari o a fasci di nervi e talaltra ritmico, quasi come una ingabbiatura geometrica della mostruosa e vitale metamorficità del reale. Si tratta evidentemente, per quest’ultimo aspetto, del ricupero della dimensione razionalistica sottesa all’esperienza postcubista, tanto che l’artista sentì il bisogno di controllare ulteriormente il fermentare dell’organicità materica con bande, o addirittura corniciature, cromatiche che adempiono alla funzione di far ordinare dall’intelletto il vibrare della sensibilità e il trasmutarsi dell’organicità.

E in un mondo problematico e difficile, come quello in cui viviamo, dove si annidano i pericoli opposti dell’alienazione tecnologica e scientista e della perdita d’identità irrazionalistica, la pittura di Aldo Famà ci conforta, con la tenera elegia cromatica di ombre e luci, a dar seguito alle istanze della mente e del cuore, alle proposte della ragione e della fantasia, alle esigenze della natura e dell’artificio, in un bilanciato equilibrio di opposti, dal quale solo pare possa sorgere un nuovo e felice umanesimo.

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